top of page

14° CATECHESI

Testo PDF

Il dogma del peccato originale

​

E’ fondamentale per conoscere noi stessi, partire dal fatto del peccato originale e delle sue conseguenze in noi.

 

Insegna il Catechismo della Chiesa:

​

402 Tutti gli uomini sono coinvolti nel peccato di Adamo. San Paolo lo afferma: « Per la disobbedienza di uno solo, tutti sono stati costituiti peccatori » (Rm 5,19); « Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato... » (Rm 5,12). All'universalità del peccato e della morte l'Apostolo contrappone l'universalità della salvezza in Cristo: « Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita » (Rm 5,18).

​

405 Il peccato originale, sebbene proprio a ciascuno, 538 in nessun discendente di Adamo ha un carattere di colpa personale. Consiste nella privazione della santità e della giustizia originali, ma la natura umana non è interamente corrotta: è ferita nelle sue proprie forze naturali, sottoposta all'ignoranza, alla sofferenza e al potere della morte, e inclinata al peccato (questa inclinazione al male è chiamata « concupiscenza »). Il Battesimo, donando la vita della grazia di Cristo, cancella il peccato originale e volge di nuovo l'uomo verso Dio; le conseguenze di tale peccato sulla natura indebolita e incline al male rimangono nell'uomo e lo provocano al combattimento spirituale.

​

Senza il peccato originale, qual è il senso dell’ultima esortazione di Gesù agli Apostoli di battezzare tutti?

 

Chesterton riconosceva

​

“Gli scienziati moderni sono persuasi che ogni indagine debba necessariamente cominciare con un dato di fatto. Anche le guide religiose dell'antichità erano persuase che ciò fosse necessario. Loro cominciavano con il fatto del peccato - un fatto pratico come le patate. Un uomo poteva o meno essere lavato in acque miracolose, ma non c'era dubbio, in ogni caso, che volesse lavarsi. Ma ai nostri giorni certi leader religiosi di Londra, non dei semplici materialisti, hanno cominciato a negare non l'assai contestabile efficacia dell'acqua, ma l'incontestabile sporcizia. Certi nuovi teologi mettono in discussione il peccato originale, che è l'unico aspetto della teologia cristiana che può veramente essere dimostrato”.

 

Per Chesterton, la dottrina della Caduta (peccato originale) è “l’unica visione lieta” (dall’Autobiografia, p.175) della vita umana, e la più realistica, in quanto ci ricorda che “abbiamo abusato di un mondo buono, e non siamo semplicemente intrappolati in una realtà malvagia” (da Perché sono cattolico e altri scritti, p.136).


Da Ortodossia, p.322, sul peccato originale:

“Il paradosso fondamentale del Cristianesimo è che la ordinaria condizione dell’uomo non è il suo stato di sanità e sensibilità normale: la normalità stessa è una anormalità. Questa è la filosofia profonda della Caduta. […] La massa degli uomini è stata costretta ad essere allegra per le piccole cose, triste per le grandi. Nondimeno […] ciò non è nella natura dell’uomo. L’uomo è più se stesso, è più umano, quando in lui la gioia è fondamentale e il dolore superficiale. […] Il pessimismo è tutt’al più una mezzafesta della commozione; la gioia è il lavoro tumultuario per cui vivono tutte le cose. […] La gioia, che fu piccola appariscenza del pagano, è il gigantesco segreto del cristiano”.


Da Ortodossia, sull’ottimismo cristiano e la sua differenza dal mito del progresso:
“Spesso ho preferito chiamarmi ottimista per evitare la troppo evidente bestemmia del pessimismo. Ma tutto l’ottimismo dell'epoca è stato falso e scoraggiante, per questa ragione: che ha sempre cercato di provare che noi siamo fatti per il mondo. L’ottimismo cristiano invece è basato sul fatto che noi non siamo fatti per il mondo.

 

-La natura è ferita dal peccato. La grazia è necessaria.

-Errori protestanti. Eresie dell’arianesimo e del pelagianesimo.

(Testo di P. JM Iraburu, Sintesis de espiritualidad catolica).

 

Introduzione

​

Il tema di questo scritto è molto importante, poiché come tutta la vita cristiana si realizza attraverso la grazia e la libertà, a seconda di come queste si intendano, si intenderà e svilupperà la vita cristiana al modo cattolico, luterano, quietista, pelagiano, semipelagiano e via dicendo.

​

Vi anticipo che attualmente quasi tutti i cattolici non praticanti, se hanno qualcosa di cristiano, sono in realtà pelagiani, e che del piccolo resto dei cattolici praticanti la maggior parte sono semipelagiani… Questo significa che oggi siamo “cattolici-cattolici”, per grazia di Dio, una piccola minoranza dei battezzati. Queste dichiarazioni possono sembrare eccessive, però nelle pagine che seguono credo che diventeranno credibili.

​

Faccio un piccolo esempio per ravvivare l’interesse dei lettori. Le fotografie che si conservano di santa Faustina Kowalska – in cui considero la sua fisionomia già abbastanza migliorata – ci mostrano un volto femminile nobile e sereno, ma un po’ grezzo. Ora, alcuni promotori della sua devozione hanno stimato conveniente occultare il suo vero volto, quello scelto da Dio, e sostituirlo nelle immaginette con un viso più femminile e carino; ciglia alte e arcuate, occhi grandi, narici sottili, zigomi e forma del mento delicati. Si pretende così di migliorare, dare più valore alla parte umana che collabora con la grazia divina, per fare in questo modo la santa più attraente. Questo, già lo avete capito, è semipelagianesimo. E se non lo capite, forse anche voi siete contagiati dal virus semipelagiano. In questo caso, Dio voglia liberarvi facendovi leggere il presente studio.

​

1. Arianesimo e pelagianesimo antichi

​

- Non so se si riuscirà a capire qualcosa.

- Si capirà abbastanza meno che la maggior parte; però qualcosa, con il favore di Dio, si capirà.

La Chiesa ottiene nel IV secolo la libertà civile. L’imperatore Galerio (311, Editto di Nicomedia) e gli imperatori Costantino I e Licinio, in Occidente e in Oriente (313, Editto di Milano), non solamente pongono fine alle persecuzioni della Chiesa, ma creano anche una situazione in cui l’essere cristiano porta con sé una condizione molto vantaggiosa per la vita sociale nell’Impero. Si battezzano gli imperatori – Costantino lo fa prima di morire – e con loro tutti gli alti magistrati. Teodosio proibisce i culti pagani ancora in vigore e stabilisce il cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero (391). Inizia in questo secolo un tempo nuovo per la Chiesa, nel quale fiorisce la liturgia, la catechesi, la costruzione di chiese e basiliche, la celebrazione dei grandi Concili Ecumenici, l’istituzione della domenica, della monogamia, un’epoca in cui non poche norme cristiane diventano leggi civili, allo stesso tempo in cui la Chiesa fa sue molte istituzioni e leggi romane.

​

Però è contemporaneamente un tempo di grande ribasso del cristianesimo. La Chiesa, per dirla così, si vede invasa dalla conversione di innumerevoli pagani. E succede ciò che era prevedibile, ciò che attesta san Girolamo (347 – 420): “Dopo la conversione degli imperatori, la Chiesa è cresciuta in potere e ricchezza, però è diminuita in virtù” (Vita Malchi 1). Effettivamente l’eroismo del popolo cristiano, diffuso nei primi tre secoli di persecuzioni, inizia a cedere il passo ad una mondanizzazione crescente. La Provvidenza divina suscita giustamente in questo secolo, il IV, il monachesimo, la cui crescita è sorprendentemente rapida. Nella cristianità d’Egitto, per esempio, c’erano circa centomila monaci e circa duecentomila monache.

​

Nella fattispecie, quindi, cessate le persecuzioni, la relativa mondanizzazione delle comunità cristiane provoca negativamente il movimento positivo di una moltitudine di fedeli che, cercando di vivere pienamente il Vangelo, esce dal mondo secolare e se ne va nel deserto. Questa opzione così radicale ha avuto all’inizio non pochi oppositori. San Giovanni Crisostomo (349 – 407) la giustifica e spiega nella sua opera Contro gli oppositori della vita monastica. Tuttavia gli enormi conflitti interni della Chiesa in quel tempo, ancor più che nel campo della vita morale, si danno nel campo dottrinale. È un tempo di grandi eresie. E anche di grandi Concili, che definiranno la fede cattolica in Cristo, la Trinità e la grazia.

L’arianesimo e il pelagianesimo sorgono allora come una versione naturalista del cristianesimo. Molti nuovi cristiani “necessitavano” di un cristianesimo non soprannaturale, ciò che è proprio dell’arianesimo e del pelagianesimo: un cristianesimo molto più conciliabile con la mentalità ellenico – romana; una versione del Vangelo che non si sopraelevasse tanto più in alto rispetto al livello della natura. Consideriamo che gran parte del popolo cristiano dell’epoca continuava a vivere secondo “i pensieri e le vie” degli uomini, ancora tanto distanti dai pensieri e dalle vie divine ( Is 54, 8- 9).

​

L’ARIANESIMO


Ario (246 – 336) nasce in Libia ed è ordinato presbitero ad Alessandria. Nella cristologia che diffonde, il Logos non esiste da tutta l’eternità, è una creatura tratta dal Padre dal nulla. Pertanto Cristo non è propriamente Dio, ma un uomo, una creatura. Non spiegherò qui la dottrina dell’arianesimo, concettualmente complicata. Considero semplicemente quello che passerà alla storia come “arianesimo”, prescindendo dalle speculazioni concettuali usate dal presbitero libico – alessandrino Ario. Semplicemente, l’arianesimo è un’eresia cristologica, che presenta Gesù Cristo come una creatura, come un uomo, sebbene perfettamente unito a Dio, e che abbassa così infinitamente la fede cattolica nel Verbo Incarnato facendola, per così dire, più accessibile al razionalismo naturale mondano.

Come scrive Josè Antonio Sayés, “l’arianesimo è il frutto del razionalismo di fronte all’originalità cristiana”. “Non è il Verbo che si fa uomo, ma l’uomo quello che, per grazia divina, rimane divinizzato”[1]. Pertanto, non c’è Incarnazione del Figlio divino eterno; non è il Verbo Incarnato che muore in Croce, in un sacrificio di espiazione infinita. Cristo è senza dubbio per gli uomini l’esempio perfetto di unione con Dio, però non è propriamente causa, “fonte di salvezza eterna per quanti credono in Lui”[2].

​

L’arianesimo ha avuto una diffusione immensa. Alcuni imperatori lo favorirono e combatterono i vescovi difensori della fede Cattolica, come sant’Atanasio e sant’Ilario, che dovettero soffrire l’esilio. Gran parte dei vescovi orientali lo tollerarono attivamente o per lo meno passivamente.  Di qui il lamento di san Girolamo: “Ingemuit totus orbi set arianum se esse miratus est” (“Gemette il mondo intero, vedendosi ariano”)[3].

​

Se questa cristologia avesse prevalso, la Chiesa Cattolica si sarebbe ridotta ad una setta insignificante. Più tardi si formularono anche altre eresie che negavano l’Incarnazione di un Figlio divino eterno, come l’adozionismo di Elipando da Toledo († 802).

​

La Chiesa, subito e ripetutamente, affermò la fede cattolica in Cristo contro l’arianesimo, sebbene tra grandi polemiche e prolungate resistenze.

​

Il Concilio di Nicea (325), il papa Liberio (352 – 266) su istanza di sant’ Atanasio; il primo Concilio di Costantinopoli (381); il Sinodo di Roma (430); il Concilio di Efeso (431), presieduto da san Cirillo; San Leone magno, nel formidabile Tomus Leonis (449); il Concilio di Calcedonia (451) e il II Concilio di Costantinopoli (553), assicurarono alla Chiesa la Verità di Cristo, la fede cattolica che stiamo confessando lungo il corso dei secoli: crediamo “in un solo Signore Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di Lui tutte le cose sono state create; per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal Cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”.

​

L’arianesimo tuttavia, a prescindere dalle tanto numerose e solenni definizioni della Chiesa, sopravvisse lungamente, soprattutto tra i Goti e altri popoli germanici. In Spagna, concretamente, perdurò fino al III Concilio di Toledo (587), quando Recaredo I, re dei Visigoti e il suo popolo professarono la fede cattolica. Ad ogni modo, come dimostreremo, gli influssi ariani nella cristologia sono oggi ancora ampiamente in vigore, anche tra i cattolici, sebbene siano concepiti in chiavi mentali e verbali molto differenti.

​

Ma proseguiamo con l’altro grande svilimento del cristianesimo cattolico:

​

IL PELAGIANESIMO

​

Nel IV secolo, quando la Chiesa si vede invasa da neofiti, sorge a Roma un monaco di origine britannica, Pelagio (354 – 427), rigoroso e ascetico, che di fronte alla mediocrità spirituale imperante, predica un moralismo molto ottimista riguardo alle possibilità naturali etiche dell’uomo. Le posizioni di Pelagio risultano molto accettabili per l’ingenuo ottimismo greco – romano riguardo la natura: “Quando devo esortare alla riforma dei costumi e alla santità di vita, inizio dal dimostrare la forza e il valore della natura umana, precisando la capacità della medesima, per incitare così l’animo dell’ascoltatore a realizzare ogni classe di virtù.  Infatti non possiamo iniziare il cammino della virtù se non abbiamo la speranza di poterla praticare”[4]. Siamo liberi, non abbiamo bisogno della grazia.

Sant’Agostino riassume così la dottrina pelagiana: “[I pelagiani] credono che l’uomo possa compiere tutti i comandamenti di Dio senza la Sua grazia. [Pelagio] dice che agli uomini viene data la grazia perché con il loro libero arbitrio possano compiere più facilmente quanto Dio ha loro comandato. E quando dice più facilmente vuole dire che gli uomini, senza la grazia, potrebbero compiere i comandamenti divini, anche se gli risulterebbe più difficile. La grazia di Dio, senza la quale non possiamo realizzare alcun bene, sarebbe il libero arbitrio che la nostra natura ha ricevuto, senza alcun merito precedente. Dio, per di più, ci aiuta dandoci la Sua legge e il Suo insegnamento, affinché sappiamo ciò che dobbiamo fare e sperare. Però non abbiamo bisogno del dono del Suo Spirito per realizzare quello che sappiamo di dover fare. Allo stesso modo, i pelagiani snaturano l’orazione [di supplica] della Chiesa [perché chiedere a Dio ciò che la volontà dell’uomo può conseguire da se stessa?]. E pretendono che i bambini nascano senza il vincolo del peccato originale”[5].

​

Non c’è, infatti, un peccato originale che deteriori profondamente la stessa natura dell’essere umano.  La natura dell’uomo è sana, ed è capace di per se stessa di fare il bene e di perseverare in esso.  Cristo, pertanto, è da vedersi più come Maestro, come causa esemplare, che come Salvatore, come causa efficiente di salvezza. L’orazione di supplica, la “virtualità” santificante dei sacramenti, che conferiscono la grazia soprannaturale, confortatrice della natura umana... tutto questo non ha né necessità né senso.

​

La Chiesa afferma la verità cattolica della grazia molto presto. Anche se le dottrine di Pelagio furono in principio approvate da vari vescovi e Sinodi, a causa di informazioni insufficienti e mal intese, subito la Chiesa rifiuta il pelagianesimo con gran forza quando le sue dottrine vennero conosciute meglio, soprattutto attraverso gli insegnamenti dei pelagiani Celestio e Giuliano di Eclana. Hanno avuto grande forza nella lotta contro il pelagianesimo vari santi padri, come san Girolamo, il presbitero ispanico Orosio, san Prospero d’Aquitania e soprattutto sant’Agostino d’Ippona. Combatterono con audacia gli errori del loro tempo.

​

La Chiesa sa bene che “è Dio che opera in voi il volere e l’operare secondo il Suo beneplacito”[6]. “Dio opera in tal modo sul libero arbitrio nei cuori degli uomini che il pensiero santo, il buon consiglio e tutto il movimento della buona volontà procedono da Dio, poiché con Lui possiamo compiere qualche bene, e senza di Lui non possiamo nulla (cfr. Gv 15, 5)”[7]. E per la grazia, “per questo ausilio e dono di Dio, non si toglie il libero arbitrio, ma si libera”[8]. “Tutte le volte che operiamo il bene, Dio, perché operiamo, opera in noi e con noi”[9].

​

 Lex orandi, lex credendi.

​

Dobbiamo ringraziare molto Dio perché per Sua Provvidenza i principali sacramentari liturgici procedono precisamente da questi secoli. Le preghiere della sacra Liturgia erano e continuano ad essere la principale espressione devota e lirica della fede cattolica. Orazioni come quella che segue, e che oggi preghiamo nelle Lodi della prima settimana, molto difficilmente avrebbero potuto essere composte nel nostro tempo, tanto pelagiano:

“Signore, che la Tua grazia ispiri, sostenga e accompagni [tutte] le nostre opere, affinché il nostro lavoro abbia in Te il suo inizio come sua fonte, e tenda sempre a Te, come suo fine. Per il nostro Signore Gesù Cristo…”. La cattiva traduzione omette quel “tutte”; qui c’è il punto: “Actiones nostras, quaesumus, Domine, aspirando praeveni et adiuvando prosequere, ut cuncta nostra [oratio et] operatio a te semper incipiat, et per te coepta finiatur. Per Dominum..”.

L’arianesimo e il pelagianesimo vanno insieme, per quanto siano eresie differenti. Entrambe svalutano qualitativamente la condizione soprannaturale del mondo cattolico della grazia. Entrambe sono una versione del cristianesimo più accettabile per coloro che mantengono una mentalità mondana razionalista. Cristo è un uomo, non è Dio. Cristo è un modello perfetto di umanità, un Maestro eccezionale; però non è un Salvatore unico e universale, non causa la nostra salvezza, la nostra filiazione divina, introducendo nella razza umana attraverso la Sua Incarnazione la Sua Croce delle forze di grazia soprannaturali, sovraumane, divine, celestiali, assolutamente necessarie per la salvezza temporale ed eterna dell’uomo.

Non c’è, dunque, nulla di strano nel fatto che, storicamente, quando i pelagiani si vedevano perseguitati in una Chiesa cattolica locale, cercassero rifugio presso i Vescovi ariani. “Dio li alleva ed essi si uniscono”. Lo vediamo anche oggi, all’interno della Chiesa Cattolica: quelli che hanno di Cristo una visione ariana, sono tutti inguaribilmente pelagiani.

​

4. Il pelagianesimo attuale

​

-Picchia duro i pelagiani, perché io non li sopporto.

- Lo stesso succede a me. Vado da loro.

​

Pelagianesimo. Ho già caratterizzato questa eresia di Pelagio, formulata all’inizio del V secolo: la natura umana è sana, non è profondamente ferita dal peccato originale, e non necessita strettamente dell’aiuto soprannaturale della grazia di Cristo. Nostro Signore Gesù Cristo è pertanto per noi causa esemplare di salvezza, ma non causa efficiente. Ottimismo antropologico: volere è potere. Conseguente svalutazione della preghiera di supplica, della necessità dei sacramenti ecc. E ricordo anche la rapida risposta della Chiesa a questa eresia, affermando la supremazia della grazia e la sua necessità continua.

​

Il pelagianesimo è un’eresia permanente che, nel corso dei secoli, si riproduce nella Chiesa con formulazioni rinnovate, che sono sempre “gli stessi cani con diversi collari”. Alcuni degli errori di Abelardo (1079 – 1142), per esempio, erano in senso pelagiano[10]. I pelagiani di oggi, anche se non sogliono orientare il loro ottimismo antropologico verso un ascetismo forte – come a quanto pare esortava Pelagio, monaco ascetico e rigoroso – mantengono in ogni caso le tesi pelagiane fondamentali.

​

Arianesimo – pelagianesimo

​

Ho fatto anche notare che arianesimo (“Gesù è uomo, non Dio”) e pelagianesimo (“non è necessario l’ausilio soprannaturale della grazia”) vanno insieme. Abbiamo già visto che, secondo il P. Sobrino, quando si considera la salvezza che offre Gesù Cristo, “non si tratta di causalità efficiente, ma di causalità esemplare”. Questa frase è una dimostrazione che comprova il fatto che la cristologia ariana porta necessariamente al pelagianesimo.

Entrambe le eresie si esigono reciprocamente. Ed entrambe sono un grande svilimento naturalista del cristianesimo, molto adatte ai cristiani che già sono caduti nell’apostasia o che ci sono vicini. Per questo, già comprovato il vigere dell’arianesimo nella Chiesa attuale, dimostriamo ora in essa la grande diffusione del pelagianesimo.

​

Pelagianesimo silenzioso.

​

Un avvertimento. Gli errori ariani cristologici, anche se a volte si manifestano attraverso silenzi significativi – “Il p. Galot, nel colloquio [avuto con il p. Schillebeecks della Congregazione della Fede], ha sostenuto di non aver trovato nel suo ultimo libro l’affermazione della divinità di Gesù Cristo” – sogliono, tuttavia, essere manifestati dai loro autori con una certa chiarezza, sebbene a volte ciò avvenga con cautela (negano la preesistenza del Verbo, la Sua uguaglianza con il Padre e lo Spirito Santo, attribuiscono a Gesù una Persona umana e via dicendo). Al contrario, gli errori pelagiani, normalmente presenti in questi stessi autori, non sogliono dichiararsi in forme esplicite, ma passando sistematicamente sotto silenzio l’incapacità radicale dell’uomo di salvarsi da solo e la sua necessità assoluta della grazia di Cristo Salvatore.

Indico, dunque, i segni attuali del cristianesimo pelagiano.

​

Peccato originale.

​

Abbiamo il pelagianesimo quando quasi non si predica sul peccato originale, o quando si minimizza la ferita enorme che esso produce nella stessa natura umana. In ambiente pelagiano suonano molto male le parole di Cristo, di san Paolo, di sant’Agostino, di Trento, circa gli effetti del peccato originale. Suonano tanto male che non suonano: si zittiscono.


Gesù: “Voi siete cattivi”[11] ;“Voi avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro” [12]e “Io sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza”[13].


San Paolo: “Tutti eravate morti per le vostre colpe e per i vostri peccati […] ma Dio, ricco di misericordia[ …] ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia siete salvati”[14] (Trento: Caduto Adamo per il peccato, l’uomo cade nella mortalità, e cade così prigioniero del potere di “colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo” [15], e tutta la persona di Adamo [e la sua discendenza] cambiò in peggio, secondo il corpo e l’anima (Denz. 1511).

​

I pelagiani di oggi non credono questo, perché se ci credessero, lo predicherebbero. Non ci credono: non ammettono che a causa del peccato originale si sia prodotta una degradazione della stessa natura umana e un essere schiavi del diavolo. Spiegano il peccato originale in modo più soave, attraverso condizionamenti sociali negativi. Se credessero ciò che afferma la fede cattolica circa il peccato originale e i suoi effetti, non porrebbero tanta fiducia nelle terapie naturali psicosomatiche, farebbero maggiore attenzione – coscienti delle proprie debolezze – alle occasioni prossime di peccato frequenti nel mondo; in nessun modo si allontanerebbero dall’Eucarestia e dai sacramenti; si dedicherebbero ad una vita ascetica secondo il Vangelo; praticherebbero l’orazione continua di supplica e di gratitudine – Signore, pietà; grazie, Signore -, e sarebbero assolutamente convinti che al di fuori del nome di Gesù “non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati”[16].

​

Adulazione dell’uomo

​

Se avessero fede nel peccato originale, ossia, se non fossero pelagiani, non adulerebbero l’uomo, non incorrerebbero in dichiarazioni imbecilli: “Io credo nell’uomo” o nella gioventù, o nella donna, o nell’operaio, o nel popolo di tale nazione ecc.

​

Per quanto possa sembrare impossibile tra cristiani, uno crede che la chiave del rinnovamento del mondo stia “nella gioventù”, un altro “nella donna” – il mondo può salvarsi solo facendosi più femminile – un altro “negli operai”. Ma senza Cristo Salvatore, tutti noi uomini siamo distrutti, deboli, malati mortalmente, schiavi del demonio: tutti, i giovani e i vecchi, gli uomini e le donne, i ricchi e i poveri, i socialisti, i conservatori e i centristi. Tutti siamo obbligati a confessare con san Paolo: “Non riesco a capire ciò che faccio […] infatti non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio […]. Il peccato è nelle mie membra”[17]. Nessuno ha un aiuto senza la grazia di Cristo: Per grazia siamo stati salvati”[18]. Al contrario, l’ottimismo antropologico dei pelagiani sembra qualcosa di incurabile. L’articolo 6 della Costituzione spagnola di Cádiz (1812) stabilisce come “uno dei principali obblighi di tutti gli spagnoli essere giusti e benèfici”. La Carta Magna lo stabilisce – sul serio – come il massimo obbligo legale.

​

Moralismo


C’è pelagianesimo laddove la predicazione sollecita quasi esclusivamente la condotta morale degli uomini, però senza alludere allo stesso tempo alla necessità della grazia di Cristo per affermarsi nel bene: “Senza di Me non potete far nulla”[19]. È certamente pelagiana la predicazione che esorta ad essere laboriosi, solidali, giusti e via dicendo, però che da sempre per assodato, almeno implicitamente, che sia sufficiente insegnare il bene ed esortare ad esso; come se dopo gli uomini, di per se stessi, potessero essere buoni nella loro vita privata, e anche efficaci nella trasformazione della società, impegnandosi in ciò. Tutto sta nel volerlo.

C’è pelagianesimo quando il cristianesimo cade nel moralismo – sia che si tratti di moralismo attorno al sesto comandamento o per quanto riguarda la giustizia sociale; è lo stesso: questo dipende solo dalle mode ideologiche del secolo – e lascia da parte i grandi temi della fede dogmatica: la Trinità, la presenza eucaristica, la necessità della grazia ecc. In questa impostazione, la morale individuale e sociale non appaiono come la conseguenza necessaria del vivere in Cristo, nella fede e nella grazia, ma come il motore decisivo della vita cristiana. E così, l’inabitazione trinitaria, l’accesso liturgico alla sorgente della grazia, l’Eucarestia, la stessa fede, in una parola: il Mistero, rimangono svalutati, come elementi accessori, passati sotto silenzio nella predicazione e nella catechesi, dimenticati, non strettamente necessari per la salvezza temporale ed eterna dell’umanità.

​

Eticismo naturalista

​

È pelagiano il cristianesimo che propone “valori” morali, ma senza vincolarli necessariamente a Cristo, ossia senza vincolare alla Sua grazia la possibilità di conoscerli pienamente e viverli con perfezione. Un’etica naturalista, in primo luogo, non propone molti valori morali che sono preziosi nella vita dell’uomo, a volte i più importanti, ad esempio la virtù della religione, la più grande dopo le tre virtù teologali: il dovere morale di lodare Dio, di benedire il Suo Nome, di ringraziarLo sempre ed in ogni luogo. Ma oltre a ciò, in secondo luogo, quando esorta ai valori morali insegnati da Cristo, insegna solamente: 1) quelli che in buona parte sono ammessi dal mondo, almeno teoricamente : verità, libertà, giustizia, amore al prossimo, unità, pace e via dicendo;
2) li insegna al mondo nel modo in cui il mondo li intende, ma non nel senso veramente cristiano ed evangelico, a volte molto diverso e soprattutto 3) non lega a Cristo Salvatore la possibilità di riconoscere e vivere questi valori di verità, giustizia, fraternità, unità, pace ecc.

​

Il cristiano pelagiano non afferma che Cristo stesso è “la Verità”, e che senza di Lui l’uomo si perde inevitabilmente nell’errore[20]; che solo Lui “ci ha resi liberi”[21], che solo per la fede in Lui raggiungiamo “la giustizia che procede da Dio”[22]; che solo Lui ha diffuso nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo la forza del vero amore fraterno[23]; che solo Lui è capace di riunire in unità tutti gli uomini che sono dispersi, poiché per questo ha dato la Sua vita[24]; e infine, che solamente “Lui è la nostra pace”[25].

​

Svalutazione della grazia

​

C’è pelagianesimo evidente in tutto ciò che ignori la necessità assoluta della grazia, in tutto ciò che non unisca sempre la preghiera e l’azione: “Dacci luce per conoscere la Tua volontà e la forza necessaria per compierla” (Orazione della domenica della Prima Settimana T.O.).
“Che la Tua grazia, Signore, accompagni tutte le nostre opere “ si legge nella Liturgia delle Ore, Lodi della Prima Settimana. Laddove mancano queste convinzioni primarie della fede sulla grazia, espressa tanto bene dall’orazione della Chiesa, lì è chiaro che c’è puzza di pelagianesimo.

Svalutazione della preghiera di supplica

È uno degli errori del pelagianesimo che, come già abbiamo visto, più indignavano sant’Agostino. Perché chiedere a Dio la castità, la vittoria sulla pigrizia, o quello che sia, se è nella nostra volontà il conseguirlo? Al contrario, per il Dottore della grazia la preghiera di domanda è come la prua di una barca, che deve andare avanti a tutto l’impegno ascetico volitivo. “Tutta la mia speranza è nella Tua immensa misericordia. Dammi quello che comandi, e comandami quello che vuoi”[26]. Ora et labora, però “ora” sempre davanti.

​

Svalutazione dell’Eucarestia e dei sacramenti

​

C’è pelagianesimo quando i sacramenti e il culto liturgico smettono di essere la chiave della trasformazione in Cristo degli uomini e dei popoli.  La gran parte dei cattolici “lontani” o sono pelagiani o sono apostati. I cristiani che credono che la loro salvezza è anzitutto grazia di Cristo mai si allontanano dalle sorgenti liturgiche della grazia. Si allontanano cronicamente da queste fonti solo i pelagiani, che sperano di salvarsi per le loro proprie forze. O gli apostati, che né credono alla necessità di salvarsi – salvarsi da che cosa? – né credono nella vita eterna, né a nulla.

​

Sopravvalutazione dei mezzi

​

Questo è qualcosa di molto pelagiano. Certamente il Signore nella Sua Provvidenza vuole che poniamo in ogni impresa i mezzi proporzionati al fine desiderato, a seconda di quelli che Lui ci dà.  Però non vuole che riponiamo la speranza dei nostri sforzi nei mezzi conseguiti, ma nella forza salvifica della Sua grazia.

​

Qui avete uno scrittore spirituale che descrive in un’opera di tre volumi i cinquanta metodi di orazione più utili per arrivare presto alla più alta contemplazione – incluse delle tecniche respiratorie -. Dio lo protegga... Proseguendo, questa Madre superiora ci dice che due terzi delle religiose della sua comunità sono laureate. E che? Un professore ci mostra con visibile soddisfazione gli eccellenti impianti di una scuola o di un’Università Cattolica – biblioteca, laboratorio, aule, piscina climatizzata ecc – con un orgoglio – orgoglio corporativo, si intende, non necessariamente personale- che ci fa temere il peggio. Non è tanto la ricchezza dei mezzi ciò che ci spaventa, ma la fiducia che vediamo posta in essi. Vorrà operare lì il Signore molte conversioni?

​

Già lo ha detto Orazio, nella sua lettera ai Pisoni: “parurient montes, nascetur ridiculus mus” (“partorirono i monti, e nacque un ridicolo topo”). Per un incontro giovanile interdiocesano – esagero un po’- cinque commissioni preparano durante diversi mesi quattro sedi diverse, alternative, in cui si offrono quattordici laboratori opzionali, per i quali si coinvolgono due cantautori, cinque vescovi e tredici notevoli conferenzieri – erano quindici, ma se ne ritirarono due -, si stampano manifesti grandi, medi e trittici, e due CD, si installano schermi giganti, si contratta pubblicità nei pannelli pubblici, radio e televisioni eccetera. La commissione di Economia ha notevole importanza nella preparazione dell’evento. “Parturient montes”.. si vede che non hanno letto il mio libro “Povertà e Pastorale”, o che non vi cedettero (Verbo Divino, Estella, 1968, 2ª ed).

​

Davide mise da parte la corazza e le forti armi che Saul gli offriva, andò contro Golia con una fionda e qualche pietra, e lo vinse[27]. Gesù nacque in una stalla per animali, e gli Apostoli, senza bisaccia né doppia tunica, portarono il Vangelo a tutto il mondo, essendo mezzo-illetterati.. È rivelato che Dio è solito scegliere  - non necessariamente – i poveri e i mezzi poveri per confondere la superbia del mondo, e perché a Lui solo si attribuisca la gloria delle grandi opere di salvezza[28].

​

Sopravvalutazione delle terapie naturali

​

Case di spiritualità, comunità religiose, che offrono nei loro programmi una macedonia incredibile di frutta spirituale esotica: enneagramma, reiki, sofrologia, tecniche di auto aiuto e via dicendo. Lascio questo e altri temi per il prossimo articolo.

​

Una cosa è ben chiara. Che oggi sono molti gli ambienti cattolici che puzzano di pelagianesimo.  Il vigere attuale di questa eresia è stata denunciata da molti anni con speciale insistenza dal cardinal Ratzinger: “ L’errore di Pelagio ha molti più seguaci nella Chiesa di oggi di quello che a prima vista sembrerebbe” (30 Dias 1 1991).

​

Papa Francesco: “Così la Chiesa è come Maria: la Chiesa non è un negozio, non è un’agenzia umanitaria, la Chiesa non è una ONG, la Chiesa è mandata a portare a tutti Cristo e il suo Vangelo; non porta se stessa– se piccola, se grande, se forte, se debole, la Chiesa porta Gesù e deve essere come Maria quando è andata a visitare Elisabetta. Cosa le portava Maria? Gesù. La Chiesa porta Gesù: questo è il centro della Chiesa, portare Gesù! Se per ipotesi, una volta succedesse che la Chiesa non porta Gesù, quella sarebbe una Chiesa morta! La Chiesa deve portare la carità di Gesù, l’amore di Gesù, la carità di Gesù” (Udienza mercoledì 23 ottobre 2013).

​

1. La dottrina cattolica

​

-Alla faccia della tematica. Vediamo come ve la sbrigate..

-Limiterò molto il mio tentativo, ed evitando il più possibile i concetti speculativi che non siano strettamente necessari, mi appoggerò soprattutto sulla Bibbia, sulla Liturgia, sul Magistero apostolico e sulle spiegazioni teologiche più comuni.

 

Il papà e il suo bambino, tutti e due, scrivono una lettera. Parto da questa immagine. Il papà, avvicinandosi ad un tavolo, fa sedere sulle sue ginocchia il piccolo – supponiamo che sia un analfabeta totale – e prendendo la mano del bambino, che sostiene la matita, si dispone a scrivere: “Scriviamo una lettera alla Vergine Maria”. Attenzione: la lettera, effettivamente, viene scritta da entrambi, padre e figlio. L’oggetto desiderato, scrivere una lettera, rimane assolutamente fuori dalle possibilità del bambino, che non sa né leggere né scrivere. Però questo fatto non è di alcun impedimento perché questa opera si realizzi, sempre, è chiaro, che la mano infantile si lasci guidare continuamente dalla mano di suo padre. E qui si danno tre alternative.

​

1. Il bambino lascia che il movimento della sua mano sia completamente docile al movimento della mano conduttrice di suo padre.  Ed esce un testo comprensibile e forse anche prezioso. Anche se le parole, dobbiamo riconoscerlo, non saranno un modello perfetto di calligrafia. Questa lettera l’hanno scritta entrambi, non solo il padre, ma anche il bambino. Sono con – causa di un’opera, il padre come causa principale, il bambino come causa strumentale. Il bambino muove la sua mano mossa da suo padre.

​

2. Il bambino muove la sua mano di sua propria volontà e gusto. E ne risulta uno scarabocchio incomprensibile, che non vale nulla. Ha resistito alla mozione di suo padre. Il luogo proprio di quel foglio è il cestino della carta straccia.

3. Il bambino mantiene rigida la sua mano, senza lasciare che suo padre la muova. Non ne esce nulla. Ha resistito alla mozione di suo padre. Il foglio rimane in bianco.

​

Queste sono le tre possibilità che l’uomo ha circa l’azione della grazia, e non ce ne sono altre: accettarla (1), o resisterle (2 e 3). Le due ultime opzioni sono peccato, resistenza alla grazia, più o meno grave secondo l’oggetto dell’azione, e secondo il grado di coscienza e consenso volontario che si ha nella persona. La prima opzione, l’unica buona, è certamente meritoria, perché il bambino si è fidato di suo padre e ha obbedito docilmente alla sua guida, potendo resisterle: non è una matita inerte, incapace di resistere. Lui realmente “ha scritto” la lettera, ha prodotto la buona opera; questo sì, la sua volontà si è mossa essendo mossa dal padre. E le due cause non si sono coordinate, facendo il bambino la sua parte e il padre la sua parte.


D’altra parte, la causalità del bambino si è subordinata totalmente alla causalità paterna principale. Si è prodotta, dunque, una felice sinergia, che ha reso possibile nel bambino una buona opera, per la quale era completamente incapace. Ebbene, così è sempre tutta la vita cristiana. Per questo il nostro Maestro ci insegna: “ Se non vi farete come bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli”[29].

​

Tornando all’esempio precedente – sarebbe ridicolo che il bambino fosse orgoglioso della bella lettera scritta, come se fosse un’opera solo o principalmente sua – sarebbe ugualmente ridicolo pensare che si sia realizzata questa opera, che è totalmente al di sopra delle sue possibilità, per “una questione di generosità”. Sono parole senza senso, e sarebbe anche assurdo che il bambino, collaborando con suo padre, fosse preoccupato e pieno di ansie: “E cosa diremo alla Vergine? ..Fino adesso pare che vada bene. Però cosa scriveremo nella pagina seguente del quaderno?”.

​

Precedenti di questa immagine. Il bambino che scrive sotto la mozione di suo padre è una buona immagine, però imperfetta, poiché non esprime che in realtà il padre muove non solo la mano di suo figlio, ma anche la sua volontà. Però già sapete che le immagini, come le parabole, hanno un “lato” eloquente, e altri che non lo sono.  E d’altra parte, con buona volontà possiamo completare l’immagine che ho proposto, pensando che il padre parli all’orecchio del figlio, e per la sua parola gli comunichi il buono spirito, che gli permette di lasciare la sua mano docile alla guida paterna. Questa è un’immagine che ha molti precedenti analoghi, anche se non tanto buoni come il mio esempio.

 

Ne cito solo due:

​

Jean Pierre de Caussade, S.J. (1675 – 1751), insegna che lo Spirito Santo, nella pienezza dei tempi, ha scritto i Vangeli;

​

“Però ora lo Spirito Santo scrive i Vangeli solamente nei cuori. Tutte le azioni e momenti dei santi sono Vangeli dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo, dalla penna della Sua azione (di grazia), scrive un Vangelo vivo, che potrà essere letto solamente nel giorno della gloria, quando, dopo essere usciti dalla scena di questa vita, sarà pubblicato”[30].

​

Santa Teresa del Bambino Gesù (1873 – 1897), Dottore della Chiesa, quando descrive l’opera di Dio negli uomini, pone anche l’accento sulla priorità assoluta della grazia divina, ricorrendo all’immagine dell’artista che, servendosi di un pennello, produce un quadro meraviglioso. Il pennello senza l’artista non può nulla.

​

“ Se la tela dipinta da un artista potesse pensare e parlare, certamente non si lamenterebbe di essere toccato e ritoccato dal pennello; e neanche invidierebbe la sorte di quello strumento, poiché conoscerebbe di dovere la bellezza di cui è rivestito non al pennello, ma all’artista che lo guida”[31].

​

“In Dio viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”[32]. Questa grandiosa verità, predicata pochissime volte, con il passaggio dal teocentrismo all’antropocentrismo, è ignorata da gran parte dei cristiani moderni. 

​

L’uomo non è fatto per agire secondo la sua propria volontà, ma per compiere sempre e in tutto la volontà di Dio. Tutto l’universo delle creature è fatto per compiere sempre la volontà del suo Creatore, e lo fa necessariamente. E l’uomo, l’unica creatura libera del mondo visibile, è creato per compiere liberamente la volontà del Signore. Orbene, nell’agire umano la linea causale del bene e quella del male sono totalmente asimmetriche. Consideriamo questa verità, anch’essa fondamentale per penetrare nel mistero grazia – libertà.

​

L’uomo può fare il bene solo con l’aiuto di Dio, assistito dalla causalità divina, che è universale, tanto nell’ordine della natura quanto in quello della grazia. Il Creatore dà continuamente alla Sua creatura l’essere e l’operare. Come insegna il Catechismo:” Dio agisce nelle opere delle Sue creature. È la causa prima che opera in e attraverso le cause seconde”. E questo, come già è stato detto, si dà a fortiori nell’ordine della grazia: “Senza di Me non potete far nulla”[33].
“È Dio che opera in voi il volere e l’operare secondo il Suo beneplacito”[34].

Ciò che l’uomo può produrre da se stesso è solo il male. Lo spiega bene Jacques Maritain, appoggiandosi sull’insegnamento di san Tommaso.

L’azione cristiana dell’uomo è, dunque, sempre passiva – attiva: passiva, nel senso filosofico del termine, in quanto riceve il dono gratuito di Dio: illuminazione, attrazione, mozione; e attiva, poiché ricevere liberamente questo aiuto divino le concede di volere ed operare un bene che per se stesso da solo non raggiungerebbe. Vediamolo in tre rilevanti esempi:

La Vergine Maria è stata cattolica. Non è stata pelagiana o semi – pelagiana, e non è stata nemmeno quietista o luterana, né giansenista: è stata cattolica. La Piena di Grazia, ossia, l’Immacolata, la Vergine fedele, non ha propri piani da portare avanti, non è capace di volere nulla da se stessa. La sua volontà può muoversi a volere qualcosa solo mossa dalla volontà del suo Signore. La Beata Vergine Maria esprime in tutta perfezione come intende lei la vita della grazia. Guarda al suo passato e dice: “ L’Onnipotente ha fatto in me grandi cose”. E guardando al suo presente e futuro, dice: “Io sono l’ancella del Signore; si compia in me secondo la tua parola”.Nelle due frasi i verbi sono in forma passiva. Ella intende perfettamente che tutta la sua vita, passato, presente e futuro, è passiva – attiva, è provvidenza amorosa di Dio che, per Sua grazia, agisce nella sua mente, nella sua volontà e nelle sue opere, con la reale collaborazione del suo fiat permanente. Non è questione di generosità o altre storie simili. In lei c’è unicamente docilità assoluta, lode e gratitudine infinite, in un’umiltà totale e perfetta: “Il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato con bontà l’umiltà della Sua serva”.

​

Anche san Giovanni Battista è stato un cattolico praticante. Lui mai autorizzò se stesso a volere nulla -per quanto alto e santo potesse essere- di per se stesso, dalla sua propria volontà. Non ha mai voluto muoversi se non mosso dalla volontà di Dio, dalla Sua grazia. Giovanni Battista è stato come un bambino analfabeta, il quale, lasciando che la mano di suo padre guidasse la sua, scrive nel libro della sua vita un poema di celestiale bellezza e santità. E ha saputo anche, illuminato da Dio, esprimere con perfezione questo mistero: “ Nessuno può prendersi nulla, se non gli è stata data dal cielo”[35]. Nulla: né più, né meno, né questo, né quello. Deve fare tutto, solo e quello che Dio  vuole fare in lui e con lui. Il dono di Dio è gratuito, libero, imprevedibile: non può, dunque, prendersi come si coglie una mela da un albero; si può solo ricevere, chiedere, aspettare, procurare e realizzare.

È significativo che questa frase, “Nessuno può prendersi nulla, se non gli è stata data dal cielo”, una delle più luminose del Vangelo, sia così poco citata. Però si comprende che così succede in ambienti volontaristi, pelagiani o semi – pelagiani, perché è antitetica rispetto alle loro impostazioni sbagliate.

Anche Gesù Cristo, nostro Signore, è cattolico e Autore di tutti i cattolici. Non c’è in Lui neanche l’ombra di quietismo o di volontarismo. “L’uomo Cristo Gesù”[36], da tutta l’eternità, in una predestinazione unica, infinitamente gratuita, è l’Eletto del Padre. E il Verbo divino, essendo il Figlio eterno del Padre eterno, una volta incarnato e nato dalla Vergine Maria, mantiene in tutta la Sua vita terrena una fisionomia assolutamente filiale. Lui non si muove se non mosso dal Padre.

​

La Sua continua relazione personale con il padre si rivela specialmente negli scritti dell’evangelista san Giovanni. In essi dichiara Gesù: “Io vivo per il Padre”[37], e “ il Padre, che rimane in Me, compie le Sue opere. Credete a Me: Io sono nel padre e il Padre è in Me”[38]. Lui intende sempre le Sue opere come”le opere che il Padre Mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo..”[39], “le opere che Io compio nel nome del Padre Mio”[40]. E per questo dice: “Il Mio cibo è fare la volontà di Colui che Mi ha mandato e compiere la Sua opera”[41]. “Sono disceso dal Cielo non per fare la Mai volontà, ma la volontà di Colui che Mi ha mandato”[42]. Nostro Signore Gesù Cristo è, pertanto, psicologicamente e moralmente incapace di volere qualcosa per Sua propria volontà. Si muove sempre mosso dal Padre: “In verità, in verità vi dico: il Figlio da Se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che Egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo”[43]. Nulla, non può fare nulla: “Da Me, Io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il Mio giudizio è giusto, perché non cerco la Mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato”[44]. “Io non faccio nulla da Me stesso”[45]; “Come mi ha comandato il Padre, così io faccio”[46].

​

E questa identificazione totale tra la volontà di Cristo e quella del padre si dà normalmente con immensa gioia, perché avviene con infinito amore: “ in quell’ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: Ti lodo, Padre, Signore del Cielo e della terra”. Anche se altre volte si realizza con paura e angoscia, sudando sangue : “Però non sia fatta la Mia, ma la Tua volontà”[47].

 

1. San Tommaso d’Aquino

​

 “L’uomo necessita per vivere rettamente di un doppio aiuto [di Dio]. Da un lato, un dono abituale [la grazia santificante] per il quale la natura caduta sia restaurata e, così restaurata [sanata ed elevata], sia capace di fare opere meritorie di vita eterna, che eccedano le possibilità della natura. E dall’altro lato, necessita l’ausilio della grazia [attuale] per essere mossa da Dio ad operare … già che nessun essere creato può produrre nessun atto se non per la virtù della mozione divina»[48].
Pertanto, “l’azione dello Spirito Santo, mediante la quale ci muove e ci protegge, non si limita all’effetto del dono abituale [grazia santificante, virtù e dono], ma per di più ci muove e ci protegge insieme al Padre e al Figlio»[49]. Questa dottrina esprime l’insegnamento della Bibbia e dei Concili, come già abbiamo visto (61 e 68), in cui si afferma che è Dio che opera sempre in noi e con noi il volere e l’operare il bene, e che è la grazia ciò che causa l’obbedienza della nostra volontà[50].
Non ci sembra, allora, compatibile con questo insegnamento quello del Molina, secondo il quale, infuso l’abito della grazia, «è sufficiente il concorso generale di Dio per realizzare atti soprannaturali di fede», speranza e carità[51].

​

Conclusione

​

Finiamo con un testo del Catechismo della Chiesa Cattolica:

412 Ma perché Dio non ha impedito al primo uomo di peccare? San Leone Magno risponde: « L'ineffabile grazia di Cristo ci ha dato beni migliori di quelli di cui l'invidia del demonio ci aveva privati ». 552 E san Tommaso d'Aquino: « Nulla si oppone al fatto che la natura umana sia stata destinata ad un fine più alto dopo il peccato. Dio permette, infatti, che ci siano i mali per trarre da essi un bene più grande. Da qui il detto di san Paolo: "Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia" (Rm 5,20). Perciò nella benedizione del cero pasquale si dice: "O felice colpa, che ha meritato un tale e così grande Redentore!" ». 553

 

[1] Señor y Cristo. Curso de Cristologìa, Palabra, Madrid 2005, pp. 218 – 219).

[2] Pref. 1 comune.

[3] San Girolamo, Dial. Vs Lucif. 19.

[4] Epistola 1 Pelagio a Demetriade 30, 16.

[5] S. Agostino, De haeresibus, Libro 1, 42, 47 – 48.

[6] Fil 2, 13.

[7] Indiculus, cap.6.

[8] Ibid. cap. 9.

[9] Orange II, can. 9.

[10] Denzinger, 725, 728.

[11] Mt 12, 34; Lc 1, 13.

[12] Gv 8, 44.

[13] Gv 10, 10 b.

[14] cfr. Ef 2, 1 – 5; cfr Rm 3, 23; Tt 3, 3.

[15] cfr Eb 2, 14.

[16] At 4, 12.

[17] Cfr Rom 7, 14 – 25.

[18] Ef 2, 15,

[19][19] Gv 15, 5.

[20] Gv 14, 6.

[21] Gal 5, 1.

[22] Fil 3, 9.

[23] Rm 5, 5.

[24] Gv 11, 52.

[25] Ef 2, 14.

[26] S. Agostino, Confessioni, Libro X, 29, 40.

[27] 1 Sam 17.

[28] 1 Cor 1, 20 – 31.

[29] Mt 18, 3.

[30] L’abbandono alla divina Provvidenza, Fond. GRATIS DATE, Pamplona 2000, p.75.

[31] Manoscritto autobiografico, C 20 ).

[32] At 17, 28.

[33] Gv 15, 5.

[34] Fil 2, 13.

[35] Gv 3, 27.

[36] 1 Tim 2, 5.

[37] Cfr Gv 6, 57.

[38] Gv 10 c – 11 a.

[39] Gv 5, 36.

[40] Cfr Gv 10, 25; cfr anche Gv 10, 37 – 38.

[41] Gv 4, 34.

[42] Gv 6, 38.

[43] Gv 5, 19.

[44] Gv 5, 30.

[45] Gv 8, 38.

[46] Cfr Gv 15, 10.

[47] Lc 22, 42 b.

[48] STh I, 109, 9.

[49] I, 105, 5 ad 2 m.

[50] Fil 2,13; Indículo, c. 6; Orange II, c. 6; Trento ses. 6,16.

[51] Concordia q.14, a.13, resp.8.

bottom of page