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28° CATECHESI

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Gesù nostro Maestro 
 
Gesù è la Verità. E contro la sua Verità si alzerà Satana attraverso dei falsi profeti. 

 

Dice la lettera ai Galati: Ché poi non c'è un altro vangelo; però ci sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo. Ma anche se noi o un angelo dal cielo vi annunziasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato, sia anatema. Come abbiamo già detto, lo ripeto di nuovo anche adesso: se qualcuno vi annunzia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema. (Gal 1,7-9) 
 

Per questo Gesù istituisce i sacerdoti: per preservare le persone dall’errore che verrà predicato in futuro… [Dio] ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori, per il perfezionamento dei santi in vista dell'opera del ministero e dell'edificazione del corpo di Cristo, fino a che tutti giungiamo all'unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomini fatti, all'altezza della statura perfetta di Cristo; affinché non siamo più come bambini sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina per la frode degli uomini, per l'astuzia loro nelle arti seduttrici dell'errore (Ef 4,11-14) 
 

Sempre San Paolo, ispirato dallo Spirito Santo, scriveva a Tito: Ti scongiuro, davanti a Dio e a Cristo Gesù che deve giudicare i vivi e i morti, per la sua apparizione e il suo regno: predica la parola, insisti in ogni occasione favorevole e sfavorevole, convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e pazienza. Infatti verrà il tempo che non sopporteranno più la sana dottrina, ma, per prurito di udire, si cercheranno maestri in gran numero secondo le proprie voglie, e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole. Ma tu sii vigilante in ogni cosa, sopporta le sofferenze, svolgi il compito di evangelista, adempi fedelmente il tuo servizio. (2Ti 4,1-5) 
 

E anche San Giovanni nella sua seconda lettera: In questo è l'amore: che camminiamo secondo i suoi comandamenti. Questo è il comandamento in cui dovete camminare come avete imparato fin da principio. Poiché molti seduttori sono usciti per il mondo, i quali non riconoscono pubblicamente che Gesù Cristo è venuto in carne. Quello è il seduttore e l'anticristo. Badate a voi stessi affinché non perdiate il frutto delle opere compiute, ma riceviate piena ricompensa. Chi va oltre e non rimane nella dottrina di Cristo, non ha Dio. Chi rimane nella dottrina, ha il Padre e il Figlio (2Gv 1,6-12). 
 

Purtroppo esistono anche persone della Chiesa che danno cattivo esempio. Ma neanche questa è una novità! Gesù ce ne aveva già avvertito di questi “falsi pastori”: Guai al mondo a causa degli scandali! perché è necessario che avvengano degli scandali; ma guai all'uomo per cui lo scandalo avviene! (Mt 18,7). Gesù già ce ne aveva avvertito… quindi “nulla di nuovo sotto il sole”. 

 

1) Cristo e la sua missione 
 

Cristo redime gli uomini esercitando un triplice ufficio o funzione: di Maestro-Profeta, di Pastore-Re, di Sacerdote-Vittima. E’ Lui la via e la verità e la vita (Gv 14, 6): verità in quanto come Maestro rivela i misteri concernenti la salvezza; è la via in quanto come Re dirige, guida gli uomini verso la salvezza; è la vita in quanto come Sacerdote riconcilia con Dio e dona la grazia che attua la salvezza.  
 

a) Cristo Maestro-Profeta: Uno è il vostro Maestro, Cristo (Mt 23, 10). Il valore di questa funzione emerge dal fatto che l’ignoranza (specialmente la religiosa) è una conseguenza del peccato, entrato nel mondo per seduzione del demonio, il padre della menzogna (Gv 8, 44; cfr. Rom. 1, 18 ss.; Gv 1, 5; 3, 19). Cristo è venuto per distruggere le opere del demonio (1Gv 3, 8) e per liberare gli uomini dalla sua schiavitù. Perciò rimuove le tenebre della mente che derivano dal peccato e porta la luce della vera conoscenza. Cristo ci libera con la sua verità: la verità vi farà liberi (Gv 8, 32).  
 

         Cristo è il profeta annunciato da Mosè: Un profeta simile a me ti farà sorgere il Signore, tuo Dio, dal seno, di mezzo ai tuoi fratelli; ascoltatelo (Dt 18, 15, testo che nel NT viene riferito a Cristo: cfr. Atti 3, 22; Gv 1, 45; 6, 14). Cristo stesso si definisce come la luce del mondo (Gv 8, 12; 12, 46), si chiama la verità (Gv 14, 67; 8, 40), ritiene come uno dei suoi compiti essenziali proclamare la verità (Gv 18, 37; 8, 40), accetta il titolo di Maestro e Signore (Gv 13, 13): Cristo è l’ultimo e supremo rivelatore: Dio dopo aver già anticamente parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti molte volte in diversi modi, ultimamente ha parlato a noi mediante il Figlio (Eb I, 1); perciò pretende di essere l’«unico maestro» degli uomini: Non fatevi chiamare maestri, perchè uno è vostro maestro, Cristo (Mt 23, 10). Il suo insegnamento esercitava un potente fascino su quelli che l’ascoltavano: Nessuno ha mai parlato come parla quest’uomo (Gv 7, 46; Mc 1, 22). 
 

           Consapevole della singolarità e insostituibilità del suo magistero, Cristo lo trasmette anche ad altri perché continui sempre: Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 29, 19); Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16, 15).  
 

         I Padri esaltano Cristo come maestro della verità. Così Ignazio di Antiochia († c. 107) lo chiama “la bocca infallibile, per mezzo della quale il Padre ha veramente parlato” (Rom 8, 2); “nostro unico maestro” (Magn. 9, I). Specialmente gli apologisti più antichi accentuano la trascendenza della dottrina cristiana su ogni umana sapienza, poiché rivelata e garantita dal Logos incarnato, la sapienza divina apparsa in figura umana. Cfr. Giustino, Apologia II, 10. 
 

          Il Vaticano II insegna: “Dopo aver a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, Dio alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio (Eb 1, 1-2). Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di Dio (cfr. Gv 1, 1-18). Gesù Cristo dunque, Verbo fatto carne, mandato come uomo agli uomini, parla le parole di Dio (Gv 3,34) e porta a compimento l’opera di salvezza affidatagli dal Padre (cfr. Gv 5, 36; 17, 4). Perciò egli, vedendo il quale si vede anche il Padre (cfr. Gv 14, 9), col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l’invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna. L’economia cristiana dunque, in quanto è l’Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcun’altra Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo (cfr. 1Tm 6, 14 e Tt 2, 13)” (Dei Verbum 4). 

 

2) Gesù Cristo sceglie i Dodici e gli fa partecipi della sua missione e della sua autorità. 
 

a) I Dodici nella Chiesa. Afferma GP II: “La Chiesa è stata istituita da Gesù Cristo come una società strutturata, gerarchica e ministeriale, in funzione del governo pastorale per la formazione e la crescita continua della comunità. I primi soggetti di tale funzione ministeriale e pastorale sono i dodici Apostoli, scelti da Gesù Cristo come fondamenti visibili della sua Chiesa. Come dice il Concilio Vaticano II, “Gesù Cristo, Pastore eterno, ha edificato la santa Chiesa e ha mandato gli Apostoli come Egli stesso era mandato dal Padre (cf. Gv 20, 21), e volle che i loro successori, cioè i Vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori fino alla fine dei secoli” (LG 18). Questo passo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium ci richiama anzitutto alla posizione originale e unica degli Apostoli nel quadro istituzionale della Chiesa. Dalla storia evangelica sappiamo che Gesù ha chiamato dei discepoli a seguirlo e fra loro ne ha scelto dodici (cf. Lc 6, 13).  
La narrazione evangelica ci fa conoscere che per Gesù si trattava di una scelta decisiva, fatta dopo una notte di preghiera (cf. Lc 6, 12); di una scelta fatta con una libertà sovrana: ci dice Marco che Gesù, salito sul monte, chiamò a sé “quelli che volle” (Mc 3, 13). I testi evangelici riportano i nomi dei singoli chiamati (cf. Mc 3, 16-19 e par.): segno che la loro importanza era stata percepita e riconosciuta nella Chiesa primitiva” (Udienza generale, 1° lug. 1992, n. 1).  

 

Ne fece dodici perché stessero con lui, e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni (Mc 3, 14-15). Il primo elemento costitutivo del gruppo dei Dodici è dunque un attaccamento assoluto a Cristo: si tratta di persone chiamate a “essere con lui”, cioè a seguirlo lasciando tutto. Il secondo elemento è quello missionario, espresso sul modello della missione stessa di Gesù, che predicava e scacciava i demoni. La missione dei Dodici è una partecipazione alla missione di Cristo da parte di uomini strettamente legati a lui come discepoli, amici, fiduciari” (Udienza generale, 1° lug. 1992, n. 3).  

 

I compiti dei Dodici
 

1. I compiti specifici, inerenti alla missione affidata da Gesù Cristo ai Dodici, sono i seguenti:  
 

a) missione e potere di evangelizzare tutte le nazioni, come attestano chiaramente i tre Sinottici (cf. Mt 28, 18-20; Mc 16, 16-18; Lc 24, 45-48). Tra di essi, Matteo mette in evidenza il rapporto stabilito da Gesù stesso tra la sua potestà messianica e il mandato da lui conferito agli Apostoli: Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni (Mt 28, 18). Gli Apostoli potranno e dovranno svolgere la loro missione grazie al potere di Cristo che si manifesterà in loro.  
 

b) missione e potere di battezzare (Mt 28, 19), come adempimento del mandato di Cristo, con un battesimo nel nome della SS. Trinità (Mt 28, 19), che, essendo legato al mistero pasquale di Cristo, negli Atti degli Apostoli viene anche considerato come battesimo nel nome di Gesù (cf. At 2, 38; 8, 16).  
 

c) missione e potere di celebrare l’eucaristia: Fate questo in memoria di me (Lc 22, 19; 1 Cor 11, 24-25). L’incarico di rifare ciò che Gesù ha compiuto nell’ultima Cena, con la consacrazione del pane e del vino, implica un potere di altissimo livello; dire nel nome di Cristo: “Questo è il mio corpo”, “questo è il mio sangue”, è quasi un identificarsi a Cristo nell’atto sacramentale.  
 

d) missione e potere di rimettere i peccati (Gv 20, 22-23). È una partecipazione degli Apostoli al potere del Figlio dell’uomo di rimettere i peccati sulla terra (cf. Mc 2, 10): quel potere che nella vita pubblica di Gesù aveva provocato lo stupore della folla, della quale l’evangelista Matteo ci dice che rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini (Mt 9, 8)” (Udienza generale, 1° lug. 1992, n. 5).  

 

In questo modo Cristo ha istituito una struttura gerarchica e ministeriale della Chiesa, formata dagli Apostoli e dai loro successori; struttura che non è derivata da una precedente comunità già costituita, ma è stata creata direttamente da lui. Gli Apostoli sono stati, a un tempo, i semi del nuovo Israele e l’origine della sacra gerarchia, come si legge nella Costituzione Ad gentes del Concilio (AG 5). Tale struttura appartiene dunque alla natura stessa della Chiesa, secondo il disegno divino realizzato da Gesù. 

 

2. I collaboratori degli Apostoli.

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“Dagli Atti e dalle Lettere degli Apostoli viene documentato ciò che leggiamo nella costituzione Lumen gentium del Concilio Vaticano II, cioè che gli Apostoli “ebbero vari collaboratori nel ministero” (LG 20). Infatti nella raggiera di comunità cristiane che ben presto si erano formate dopo i giorni della Pentecoste, risalta senza dubbio quella degli Apostoli e in particolare il gruppo di quelli che nella Comunità di Gerusalemme erano ritenuti le colonne: Giacomo, Cefa e Giovanni ..., come attesta San Paolo nella Lettera ai Galati (Gal 2, 9). Si tratta di Pietro, stabilito da Gesù come capo degli Apostoli e pastore supremo della Chiesa; di Giovanni, l’Apostolo prediletto; e di Giacomo, “fratello del Signore”, riconosciuto capo della Chiesa di Gerusalemme.  
 

Ma, assieme agli Apostoli, gli Atti menzionano gli “anziani” (cf. At 11, 29-30; 15, 2. 4), che con loro costituivano un primo grado subordinato di gerarchia. Gli Apostoli inviano un loro rappresentante ad Antiochia, Barnaba, a motivo dei progressi dell’evangelizzazione in quel luogo (At 11, 22). Gli Atti stessi ci dicono di Saulo (San Paolo), che, dopo la conversione e il primo lavoro missionario, si reca a Gerusalemme insieme con Barnaba (al quale altrove viene attribuita la denominazione di “apostolo”: cf. At 14i,14), come al centro dell’autorità ecclesiale, per conferire con gli Apostoli. Nello stesso tempo porta un aiuto materiale per la comunità locale (cf. At 11, 29). Nella Chiesa di Antiochia, accanto a Barnaba e Saulo, vengono menzionati come profeti e dottori... Simeone, soprannominato Niger; Lucio di Cirene; Manaen (At 13, 1). Di lì vengono poi mandati in viaggio apostolico, dopo l’imposizione delle mani (cf. At 13, 2-3), Barnaba e Saulo. Dal tempo di quel viaggio Saulo comincia a chiamarsi Paolo (cf. At 13, 9). E ancora: man mano che sorgono le comunità, sentiamo parlare della costituzione degli anziani (cf. At 14, 23). I compiti di questi anziani vengono definiti con precisione nelle Lettere pastorali a Tito e a Timoteo, costituiti da Paolo capi di comunità (cf. Tt 1, 5; 1 Tm 5, 17).  

 

Dopo il Concilio di Gerusalemme, gli Apostoli inviano ad Antiochia, insieme a Barnaba e a Paolo, altri due dirigenti: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, come persone tenute in grande considerazione tra i fratelli (At 15,22). Nelle Lettere paoline, oltre a Tito e a Timoteo, vengono nominati anche altri “collaboratori” e “compagni” dell’Apostolo (cf. 1 Ts 1, 1; 2 Cor 1, 19; Rm 16, 3-5. 1)” (Udienza generale, 8 lug. 1992, n. 1).  
 

         “A un certo momento si pose la necessità per la Chiesa di aver nuovi capi, successori degli Apostoli. Il Concilio Vaticano II dice in proposito che gli Apostoli, “perché la missione loro affidata venisse continuata dopo la loro morte, lasciarono quasi in testamento ai loro immediati cooperatori l’ufficio di completare e consolidare l’opera da essi iniziata, raccomandando loro di attendere a tutto il gregge, nel quale lo Spirito Santo li aveva posti a pascere la Chiesa di Dio (cf. At 20, 28). Perciò si scelsero questi uomini e in seguito diedero disposizione che, quando essi fossero morti, altri uomini esimi subentrassero al loro posto (cf. S. Clemente Romano, Ep. ad Cor. 44,2)” (LG 20).  
 

         Questa successione è attestata dai primi autori cristiani extrabiblici, come San Clemente, Sant’Ireneo e Tertulliano, e costituisce il fondamento della trasmissione della autentica testimonianza apostolica di generazione in generazione. Scrive il Concilio: “Così, come attesta Sant’Ireneo, per mezzo di coloro che gli Apostoli costituirono Vescovi e dei loro successori fino a noi, la tradizione apostolica in tutto il mondo è manifestata e custodita (Sant’Ireneo, Adv. Haer., III,3,1; cf. Tertulliano, De Praescr,. 20, 4-8: PL 2, 32; CC 1, 202)” (LG 20)” (Udienza generale, 8 lug. 1992, n. 2).  
 

         È vero infatti che gli Apostoli hanno avuto un’esperienza eccezionale, incomunicabile ad altri come esperienza personale, e che hanno avuto un ruolo unico nella formazione della Chiesa, cioè la testimonianza e la trasmissione della parola e del mistero di Cristo in base alla loro diretta conoscenza, e la fondazione della Chiesa in Gerusalemme. Ma essi hanno ricevuto, allo stesso tempo, una missione di magistero e di guida pastorale per lo sviluppo della Chiesa: e questa missione è trasmissibile, e doveva essere trasmessa, secondo l’intenzione di Gesù, a dei successori, per il compimento dell’evangelizzazione universale. In questo secondo senso, dunque, gli Apostoli hanno avuto dei collaboratori e poi dei successori. L’afferma a più riprese il Concilio (LG 18, 20, 22)” (Udienza generale, 8 lug. 1992, n. 3).  

 

         “I Vescovi adempiono la missione pastorale affidata agli Apostoli e possiedono tutti i poteri che essa comporta. Inoltre, come gli Apostoli, la compiono con l’aiuto di cooperatori. Leggiamo nella costituzione Lumen gentium: “I Vescovi assunsero il servizio della comunità con i loro collaboratori, sacerdoti e diaconi, presiedendo in luogo di Dio al gregge (cf. S. Ignazio d’Antiochia, Philad., Praef.; 1, 1), di cui sono pastori, quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo della Chiesa” (LG 20)” (Udienza generale, 8 lug. 1992, n. 4).  
 

         “Il Concilio ha posto l’accento su questa successione apostolica dei Vescovi, affermando che la successione è di divina istituzione. Leggiamo ancora nella Lumen gentium: “Il Sacro Concilio insegna che i Vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli, quali pastori della Chiesa, e chi li ascolta, ascolta Cristo; chi li disprezza, disprezza Cristo e Colui che ha mandato Cristo (cf. Lc 10, 16)” (LG 20).  

 

Tema II: I Dodici e Pietro 

 

Compendio 109. Nel Regno, quale autorità Gesù conferisce ai suoi Apostoli? 
 

         Gesù sceglie i Dodici, futuri testimoni della sua Risurrezione, e li fa partecipi della sua missione e della sua autorità per insegnare, assolvere dai peccati, edificare e governare la Chiesa. In questo Collegio Pietro riceve «le chiavi del Regno» (Mt 16,19) e occupa il primo posto, con la missione di custodire la fede nella sua integrità e di confermare i suoi fratelli. Cfr. CChC 551-553. 567. 
 

         Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli (Mt 16, 17). Al di là e al di sopra di tutti gli elementi legati al temperamento, al carattere, all’appartenenza etnica, alla condizione sociale (“la carne e il sangue”), Simone beneficia di una illuminazione e ispirazione dall’alto, che Gesù qualifica come “rivelazione”. È in virtù di questa rivelazione che Simone fa la professione di fede in nome dei Dodici” (Udienza generale, 25 nov. 1992, n. 2).  
 

         E io ti dico: tu sei Pietro (Mt 16, 18). Sì, la dichiarazione è solenne: “Io ti dico”. Essa impegna l’autorità sovrana di Gesù. È una parola di rivelazione, e di rivelazione efficace, che compie ciò che dice. Un nuovo nome è dato a Simone, segno di una nuova missione. L’imposizione di questo nome viene confermata da Marco (Mc 3, 16) e Luca (Lc 6, 14), nel racconto della scelta dei Dodici. Anche Giovanni ne parla, precisando che Gesù ha adoperato la parola aramaica “Kefa”, che viene tradotta in greco “Petros” (Gv 1, 42). Teniamo presente che il termine aramaico “Kefa” (Cefa), adoperato da Gesù, come anche il termine greco “petra” che lo traduce, significano “roccia”. Nel Discorso della montagna Gesù aveva preso l’esempio dell’uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia (Mt 7, 24). Rivolgendosi adesso a Simone, Gesù gli dichiara che, grazie alla sua fede, dono di Dio, egli ha la saldezza della roccia, sulla quale è possibile costruire un edificio incrollabile. Gesù esprime poi la propria decisione di costruire su questa roccia un tale edificio, cioè la sua Chiesa. 
 

a) Realtà dell’infallibilità.  
 

         Cristo ha promesso agli Apostoli l’assistenza dello Spirito Santo e la sua propria nel compimento del loro ministero di maestri: Io pregherò il Padre e vi darà un altro Consolatore, affinché rimanga sempre con voi, lo Spirito di verità (Gv 14, 16). Ecco Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo (Mt 28, 20). Cfr. Gv 14, 26; 16, 13; Atti 1, 8.  
 

         L’assistenza costante di Cristo e dello Spirito Santo è garanzia della purezza e dell’incorruttibilità della predicazione degli Apostoli e dei loro successori. Cristo richiede un’incondizionata ubbidienza di fede (Rom 1, 5) alla predicazione dei suoi Apostoli e dei loro successori e ne fa dipendere la salvezza eterna: Chi crede e si fa battezzare si salverà; chi non crede, sarà condannato (Mc 16, 16). Egli si identifica addirittura con loro: Chi ascolta voi, ascolta me; e chi rigetta voi, rigetta me (Lc 10, 16; cfr. Mt 10, 40; Gv 13, 20). Ciò presuppone che gli Apostoli ed i loro successori siano, nel loro insegnamento, esenti dal pericolo di errare. Paolo chiama la Chiesa colonna e sostegno della verità (1Tim 3, 15). L’infallibilità della predicazione è un presupposto dell’unità e della continuità della Chiesa fino alla fine (indefettibilità).  
 

Convenienza dei Simboli: “Come insegna l’Apostolo, chi si accosta a Dio deve credere (Eb 11, 6). Ma uno non può credere, se non gli viene proposta la verità da credere. Ecco perché fu necessario raccogliere in un compendio le verità di fede, per proporle più facilmente a tutti, e perché nessuno si allontanasse dalla verità della fede per ignoranza. E codesto compendio di sentenze ha dato origine al termine simbolo” (STh 2-2, 1, 9). 

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         “Le verità della fede son contenute nella Sacra Scrittura in maniera prolissa, varia e in certi casi oscura; cosicché per estrarre le verità di fede dalla Scrittura si richiedono lunghi studi ed esercizio, che non sono alla portata di tutti coloro che hanno il dovere di conoscere codeste verità; poiché molti di essi, occupati in altre faccende, non possono attendere allo studio. Di qui la necessità di raccogliere dai testi della Sacra Scrittura un chiaro compendio, da proporre alla fede di tutti. Questo però non è una aggiunta che si fa alla Sacra Scrittura ma ne è piuttosto un estratto” (STh 2-2, 1, 9 ad 1).  
 

         “In tutti i simboli viene insegnata la medesima verità di fede. Ma è necessario istruire il popolo più accuratamente su codesta verità, quando insorgono degli errori, perché la fede dei semplici non venga pervertita dagli eretici. Questa fu la causa che costrinse a redigere diversi simboli. Essi però differiscono tra loro solo per il fatto che le cose implicite nell’uno sono spiegate nell’altro con maggior chiarezza, come esigevano gli attacchi degli eretici” (STh 2-2, 1, 9 ad 2). 

 

Il Catechismo della Chiesa Cattolica.

 

Giovanni Paolo II spiegando il valore dottrinale del testo dice: “Il CChC è una esposizione della fede della Chiesa e della dottrina cattolica... l’approvazione e promulgazione costituiscono un serizio che il successore di Pietro vuole rendere alla santa Chiesa Cattolica... sostenere e confermare la fede di tutti i discepoli del Signore Gesù... Chiedo ai Pastori e ai fedeli di accogliere questo catechismo in spirito di comunione e di usarlo assiduamente nel compiere la loro missione di annuziare la fede e di chiamara alla vita evangelica. Questo catechismo viene loro dato perchè serva come testo di riferimento sicuro e autentico per l’insegnamento della dottrina cattolica, e in modo tutto particolare per l’elaborazione dei catechismi locali” (Cost. Fidei depositum, 11 ott. 1992, n. 3). 
 

Il Compendio. Benedetto XVI con il Motu proprio, 28 giugno 2005, pubblica il Compendio:


“Il Compendio, che ora presento alla Chiesa universale, è una sintesi fedele e sicura del Catechismo della Chiesa Cattolica. Esso contiene, in modo conciso, tutti gli elementi essenziali e fondamentali della fede della Chiesa, così da costituire, come era stato auspicato dal mio Predecessore, una sorta di vademecum, che consenta alle persone, credenti e non, di abbracciare, in uno sguardo d’insieme, l’intero panorama della fede cattolica”. 

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