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5° CATECHESI

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La Salvezza Eterna

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Carissimi amici, l’eternità è la vera Vita per la quale siamo nati. Essa è il vero FINE che dobbiamo avere in ognuna delle nostre azioni, in ognuno dei nostri desideri, in ognuna delle nostre scelte. La questione del “fine” è stata molto studiata dagli autori spirituali più importanti. Nondimeno dal nostro San Luigi Maria Grignon di Monfort, il quale insisterà spesso su questo aspetto, come vedremo più avanti, al trattare delle pratiche interiori.

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Per quanto possano sembrare sgradevoli alcuni temi quali la morte, il giudizio, l’inferno, è fondamentale considerarli. Questi tre, insieme al Paradiso, è ciò che si chiamano i “novissimi”.

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Il termine latino “novissimi” (traduzione letterale significa “le cose ultime”) viene a indicare le quattro ultime realtà a cui veniamo o possiamo venire incontro alla fine dalla nostra esistenza: morte, giudizio, inferno, Paradiso.

 

Non aver paura di riflettere sui “novissimi”.

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Molte volte si paragona l’uomo agli animali. Metaforicamente parlando diciamo che tale persona è lenta come una tartaruga, tale altra è ignorante come un somaro, tale come un cavallo…

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Un animale al quale l’uomo non viene di solito paragonato, ma invece gli somiglia abbastanza, è lo struzzo… E’ quel animale che, davanti ad un pericolo fisico, nasconde soltanto la sua testa sotto terra, mentre tutto il suo corpo rimane fuori, esposto ancora peggio a quel pericolo.

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Molte persone sembrano di essere come uno struzzo. Per paura non vogliono vedere la realtà. Cercano di scappare alla realtà del mondo in cui viviamo.

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Oggi io voglio parlare su un tema del quale non dobbiamo avere paura come uno struzzo e nascondere il nostro pensiero da esso. E’ un fatto reale e certissimo: Un giorno dovremmo morire.

 

Vogliamo non solo meditare sui novissimi ma anche avere idee chiare sulla verità di questi quattro “momenti” in cui ci troveremo. Perciò ci è sembrato molto a nostro scopo un articolo riportato sul portale dell’Opus Dei (https://opusdei.org/it/article/che-cosa-sono-i-novissimi/) dove si spiegano queste quattro ultime realtà della nostra esistenza in maniera ordinata, proponendo anche delle riflessioni del fondatore di questo movimento, San Josemaria Escrivà, insieme ai costanti riferimenti del Catechismo della Chiesa Cattolica. Ci permettiamo pertanto di copiare questo articolo aggiungendo o parafrasando alcune cose a cui noi vogliamo ribadire.

 

Procediamo, come fa l’articolo, attraverso delle domande con la sua corrispondente risposta:

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  1. Che cosa c'è dopo la morte? Dio giudica ciascuna persona per la sua vita?

 

 Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che «La morte pone fine alla vita dell'uomo come tempo aperto all'accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo». «Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre».
In questo senso, San Giovanni della Croce parla del giudizio particolare di ciascuno dicendo che «Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore» (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1021-1022).

San Josemaria Escriva rifletteva:

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“Non farmi della morte una tragedia! perché non lo è. Solo i figli disamorati non sono entusiasti di incontrare i loro genitori” (Solco, 885)

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“Il vero cristiano è sempre disposto a comparire davanti a Dio. Perché, in ogni istante — se lotta per vivere come uomo di Cristo —, si trova preparato a compiere il suo dovere” (Solco, 875).

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Riflessione di Sant’Alfonso Maria de Liguori:

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“Tutti confessano che si ha da morire, e morire una sola volta; e che non vi è cosa di maggiore conseguenza di questa, poiché dal punto della morte dipende l'esser beato, o disperato per sempre. Tutti sanno poi che dal viver bene o male dipende il fare una buona o mala morte. E poi come va che dalla maggior parte de' cristiani si vive, come non si avesse mai a morire, o come poco importasse il morir bene o male? Si vive male, perché non si pensa alla morte: «Ricordati delle cose che verranno alla fine e non peccherai».

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Bisogna persuaderci che il tempo della morte non è proprio per aggiustare i conti, per assicurare il gran negozio dell'eterna salute. I prudenti del mondo negli affari di terra prendono a tempo opportuno tutte le misure per ottenere quel guadagno, quel posto, quel matrimonio; per la sanità del corpo non differiscono punto i rimedi necessari. Che diresti di taluno, che dovesse andare a qualche duello o concorso di cattedra, se volesse attendere ad istruirsi, quando è già arrivato il tempo? Non sarebbe pazzo quel capitano, che in tempo dell'assedio si riserbasse a far la provvisione de' viveri e dell'armi? Non pazzo quel nocchiero, che trascurasse a provvedersi d'ancore e di gomene sino al tempo della tempesta? Tale appunto è quel cristiano, che si riduce ad aggiustar la coscienza, quando è arrivata la morte (Cfr. Prov. 1. 27).3 Il tempo della morte è tempo di tempesta, di confusione; allora i peccatori chiamano Dio in aiuto, ma per solo timore dell'inferno, a cui si vedon vicini, senza vera conversione, e perciò Dio non gli esaudisce. E perciò anche giustamente non assaggeranno allora, che i soli frutti della loro mala vita. «Ognuno raccoglie quello che ha seminato». Eh che non basta allora prendere i sagramenti; bisogna morire odiando il peccato e amando Dio sopra ogni cosa; ma come odierà i piaceri illeciti, chi sino ad allora li avrà amati? come amerà Dio allora sopra ogni cosa, chi sino a quel punto avrà amate le creature più di Dio?

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Il Signore chiama stolte quelle vergini (perché tali erano) che volevano apparecchiar le lampade quando già veniva lo sposo. Tutti temono la morte subitanea, perché allora non vi è tempo di aggiustare i conti. Tutti confessano che i Santi sono stati i veri saggi, perché si sono preparati alla morte, prima che giungesse la morte. E noi che facciamo? vogliamo aspettare ad apparecchiarci a morir bene, quando la morte sarà già vicina? Bisogna dunque fare al presente quel che vorremo aver fatto in morte. Oh che pena dà allora la memoria del tempo malamente speso! tempo dato da Dio per meritare, ma tempo ch'è passato e non torna più. Che affanno darà allora il sentirsi dire: “non c’è tempo per meritare”. Non ci è più tempo di far penitenza, di frequentar sacramenti, di sentir prediche, di visitare Gesù-Cristo nelle chiese, di fare orazione; quel ch'è fatto, è fatto. Vi bisognerebbe allora una mente più sana, un tempo più quieto per far la confessione, come va fatta, per risolvere diversi punti di scrupoli gravi, e così quietar la coscienza; ma “il tempo non verrà più concesso”.

 

2. Chi va in Cielo? Com'è il Cielo?

 

Il cielo è “il fine ultimo dell'uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva”. San Paolo scrive “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano” (1Cor 2, 9).


Dopo il giudizio particolare, coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati vanno in cielo. Vivono in Dio, lo vedono così come gli è. Vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, godono della sua felicità, del suo Bene, della Verità e della bellezza di Dio.


Questa vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati è chiamata «il cielo». È Cristo che con la sua morte e la sua risurrezione ci ha «aperto» il cielo. Vivere in cielo è «essere con Cristo» (Cfr. Gv 14,3; Fil 1,23; 1 Ts 4,17). Coloro che arrivano al cielo vivono «in Lui», trovando lì la loro vera identità. (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1023-1026).

 

Contemplare il mistero del Paradiso (San Josemaria)

“Mentono gli uomini quando dicono “per sempre” nelle cose di quaggiù. È vero soltanto, di una verità totale, il “per sempre” dell'eternità. — E tu devi vivere così, con una fede che ti faccia sentire sapore di miele, dolcezze di cielo, al pensiero dell'eternità, che davvero è per sempre!” (Forgia, 999)

 

“Pensa quanto è gradito a Dio nostro Signore l'incenso che è bruciato in suo onore; pensa anche a quanto poco valgono le cose della terra, che appena cominciate sono già finite... Invece, un grande Amore ti aspetta in Cielo: senza tradimenti, senza inganni: tutto l'Amore, tutta la bellezza, tutta la grandezza, tutta la scienza...! E senza stancare: ti sazierà senza saziarti” (Forgia, 995).

 

“Se trasformiamo i progetti temporali in mete assolute, cancellando dall'orizzonte la dimora eterna e il fine per cui siamo stati creati — amare e lodare il Signore, e possederlo poi in Cielo —, le più brillanti iniziative si mutano in tradimenti e persino in strumenti per svilire le creature. Ricordate la sincera e famosa esclamazione di Sant'Agostino, che aveva sperimentato tanta amarezza quando, disconoscendo Dio, cercava lontano da Lui la felicità: Ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te!” (Amici di Dio, 208)

 

“Nella vita spirituale, molte volte bisogna saper perdere, rispetto alla terra, per vincere in Cielo. Così si vince sempre” (Forgia, 99).

 

Meditazione di Sant’Alfonso:

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“Procuriamo al presente di soffrir con pazienza le afflizioni di questa vita, offrendole a Dio in unione delle pene che patì Gesu-Cristo per nostro amore; e facciamoci animo colla speranza del paradiso. Finiranno un giorno tutte queste angustie, dolori, persecuzioni, timori; e salvandoci, diventeranno per noi gaudii e contenti nel regno de' beati. Così ci fa animo il Signore: «La vostra tristezza si cambierà in gioia» (Gv 16. 20). Consideriamo dunque oggi qualche cosa del paradiso. Ma che diremo di questo paradiso, se neppure i santi più illuminati han saputo darci ad intendere le delizie, che Dio riserva a' suoi servi fedeli? Davide2 altro non seppe dirne che 'l paradiso è un bene troppo desiderabile: «Quam dilecta tabernacula tua, Domine virtutum!» (Ps. 83. 2). Ma voi almeno, S. Paolo mio, voi che aveste la sorte d'essere stato rapito a vedere il cielo («Raptus in paradisum»), diteci qualche cosa di ciò che avete veduto. No, dice l'Apostolo, ciò che ho veduto, non è possibile spiegarlo. Son le delizie del paradiso: «Arcana verba, quae non licet homini loqui» (2. Cor. 12. 4).3 Sono sì grandi che non possono spiegarsi, se non si godono. Altro io non posso dirvi, dice l'Apostolo, che «oculus non vidit, nec auris audivit, neque in cor hominis ascendit, quae praeparavit Deus iis, qui diligunt illum» (1. Cor. 2. 9). Niun uomo in terra ha vedute mai, né udite, né comprese le bellezze, le armonie, i contenti, che Dio ha preparati a coloro che l'amano.

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Non possiamo noi esser capaci de i beni del paradiso, perché non abbiamo altre idee, che de' beni di questa terra. Se i cavalli avessero mai il discorso, e sapessero che il padrone sposandosi ha preparato un gran banchetto, s'immaginerebbero che il banchetto non consisterebbe in altro, che in buona paglia, buona avena ed orzo: perché i cavalli non hanno idea d'altri cibi che di questi. Così pensiamo noi de i beni del paradiso. È bello il vedere in tempo d'estate nella notte il cielo stellato: è gran delizia in tempo di primavera trovarsi in una marina, quando il mare è placido, in cui vi si vedono dentro scogli vestiti d'erba, e pesci che guizzano: è gran delizia il trovarsi in un giardino pieno di frutti e fiori, circondato da fontane che scorrono, e con uccelli che van volando e cantando d'intorno. Dirà taluno: Oh che paradiso! Che paradiso? che paradiso? altri sono i beni del paradiso.

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Per intendere qualche cosa in confuso del paradiso, si consideri ch'ivi sta un Dio onnipotente, impegnato a deliziare le anime che ama. Dice S. Bernardo:7 Vuoi sapere che cosa vi è in paradiso? «Nihil est quod nolis, totum est quod velis». Ivi non vi è cosa che dispiaccia, e vi è tutto quello che piace.

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Oh Dio, che dirà l'anima in entrare in quel regno beato! Immaginiamoci che muoia quella verginella, o quel giovine, ch'essendosi consagrato all'amore di Gesu-Cristo, arrivata la morte, lascia già questa terra. L'anima è presentata al giudizio, il giudice l'abbraccia e le dichiara ch'è salva. Le viene ad incontro l'Angelo Custode, e se ne rallegra; ella lo ringrazia dell'assistenza fattale, e l'Angelo poi le dice: Via su, anima bella, allegramente già sei salva, vieni a vedere la faccia del tuo Signore. Ecco l'anima già passa le nubi, le sfere, le stelle: entra nel cielo. Oh Dio, che dirà nel metter piede la prima volta in quella patria beata, e in dar la prima occhiata a quella città di delizie! Gli angeli e i santi le verranno ad incontro, e giubilando le daranno il benvenuto. Ivi che consolazione avrà in incontrarsi co' suoi parenti, o amici entrati già prima in paradiso, e co' suoi santi avvocati! Vorrà l'anima allora genuflettersi avanti di loro per venerarli, ma le diranno quei santi: «Vide ne faceris, conservus tuus sum» (Apoc. 22. 9). Indi sarà portata a baciare i piedi a Maria ch'è la Regina del paradiso. Qual tenerezza sentirà l'anima in conoscere di vista la prima volta quella divina Madre, che tanto l'ha aiutata a salvarsi! Poiché allora vedrà l'anima tutte le grazie, che le ha ottenute Maria, dalla quale poi si vedrà amorosamente abbracciata. Indi dalla stessa Regina sarà l'anima condotta a Gesù, che la riceverà come sposa e le dirà: «Veni de Libano, sponsa mea, veni, coronaberis» (Cant. 4. 8). Sposa mia, allegramente, son finite le lagrime, le pene e i timori; ricevi la corona eterna, ch'io t'ho acquistata col mio sangue. Gesù stesso poi la porterà a ricever la benedizione dal suo Padre divino, che abbracciandola la benedirà dicendole: «Intra in gaudium Domini tui» (Matth. 25. 21). Ella sarà11 beata della medesima beatitudine ch'Egli gode.

 

3. Che cos'è il Purgatorio? È per sempre?

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Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo. La Chiesa chiama purgatorio questa purificazione finale degli eletti, che è tutt'altra cosa dal castigo dei dannati.

Questo insegnamento poggia anche sulla pratica della preghiera per i defunti di cui la Sacra Scrittura già parla: «Perciò [Giuda Maccabeo] fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato» (2 Mac 12,45). Fin dai primi tempi, la Chiesa ha onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare il sacrificio eucaristico (cfr. DS 856), affinché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio.


La Chiesa raccomanda anche le elemosine, le indulgenze e le opere di penitenza a favore dei defunti.
(Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1030-1032).

 

Contemplare il mistero del purgatorio (San Josemaria)

“Il purgatorio è una misericordia di Dio, per purificare i difetti di quanti vogliono identificarsi con Lui” (Solco, 889)

 

“Non fare cosa alcuna per acquistare meriti, e nemmeno per paura delle pene del purgatorio: impegnati, da ora e per sempre, a fare tutto, anche la cosa più piccola, per piacere a Gesù” (Forgia, 1041).

 

 

4. Esiste l'inferno?

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All'Angelus del 2 Novembre 2014, giorno della commemorazione dei defunti, Papa pregò con queste parole: «Volgi su di noi il tuo sguardo pietoso, che nasce dalla tenerezza del tuo cuore, e aiutaci a camminare sulla strada di una completa purificazione. Nessuno dei tuoi figli vada perduto nel fuoco eterno dell’inferno, dove non ci può essere più pentimento».

Per quanto possa spaventare o non essere incomprensibile, l’esistenza dell’inferno costituisce una verità rivelata alla quale non possiamo rifiutare senza grave colpa contro la Fede.

 

Rimanere separati per sempre da Lui - nostro Creatore e nostro fine - per una nostra libera scelta costituisce uno stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola «inferno».

Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l'amore misericordioso di Dio, significa scegliere questo fine per sempre.

La Chiesa nel suo insegnamento afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, «il fuoco eterno».

Gesù parla ripetutamente della «geenna», del «fuoco inestinguibile», che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l'anima che il corpo. La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.


Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l'inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l'uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno.

Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!» (Mt 7,13-14). (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1033-1036)

 

Contemplare il mistero dell’inferno (San Josemaria)

“Non dimenticate che è molto più comodo — ma significherebbe andare fuori strada — evitare a ogni costo una sofferenza, con la scusa di non dare un dispiacere al prossimo: spesso questa inibizione racchiude un vergognoso rifuggire dal dolore proprio, perché normalmente non è piacevole dare un avvertimento serio. Figli miei, ricordatevi che l'inferno è pieno di bocche chiuse” (Amici di Dio, 161)

 

“Solo l’inferno è castigo del peccato. La morte e il giudizio non ne sono che conseguenze, non temute da chi vive in grazia di Dio” (Solco, 890).

 

Siccome si vuole opporre la Misericordia di Dio alla realtà dell’inferno, riportiamo la visione che ebbe di esso la santa della Divina Miserciordia, Suor Faustina Kowalska:

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Dal suo diario apprendiamo quanto segue… 20.x.1936. (II° Quaderno).

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Oggi, sotto la guida di un angelo, sono stata negli abissi dell'inferno. E un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande. Queste le varie pene che ho viste: la prima pena, quella che costituisce l'inferno, è la perdita di Dio; la seconda, i continui rimorsi di coscienza; la terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai; la quarta pena è il fuoco che penetra l'anima, ma non l'annienta; è una pena terribile: è un fuoco puramente spirituale acceso dall'ira di Dio; la quinta pena è l'oscurità continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri ed il proprio; la sesta pena è la compagnia continua di satana; la settima pena è la tremenda disperazione, l'odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie. Queste sono pene che tutti i dannati soffrono insieme, ma questa non è la fine dei tormenti. Ci sono tormenti particolari per le varie anime che sono i tormenti dei sensi. Ogni anima con quello che ha peccato viene tormentata in maniera tremenda e indescrivibile. Ci sono delle orribili caverne, voragini di tormenti, dove ogni supplizio si differenzia dall'altro. Sarei morta alla vista di quelle orribIli torture, se non mi avesse sostenuta l'onnipotenza di Dio. Il peccatore sappia che col senso col quale pecca verrà torturato per tutta l'eternità.

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Scrivo questo per ordine di Dio, affinché nessun'anima si giustifichi dicendo che l'inferno non c'è, oppure che nessuno c’è mai stato e nessuno sa come sia. Io, Suor Faustina, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell'inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l'inferno c'è. Ora non posso parlare di questo. Ho l'ordine da Dio di lasciarlo per iscritto. I demoni hanno dimostrato un grande odio contro di me, ma per ordine di Dio hanno dovuto ubbidirmi. Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto. Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l'inferno. Quando ritornai in me, non riuscivo a riprendermi per lo spavento, al pensiero che delle anime là soffrono così tremendamente, per questo prego con maggior fervore per la conversione dei peccatori, ed invoco incessantemente la Misericordia di Dio per loro. O mio Gesù, preferisco agonizzare fino alla fine del mondo nelle più grandi torture, piuttosto che offenderTi col più piccolo peccato.

 

5. Quando sarà il giudizio finale? In che cosa consisterà?

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La risurrezione di tutti i morti, «dei giusti e degli ingiusti» (At 24,15), precederà il giudizio finale. Sarà «l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce [del Figlio dell'uomo] e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna» (Gv 5,28-29). Allora Cristo «verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli [...]. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. [...] E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 25,31-33.46).


Il giudizio finale avverrà al momento del ritorno glorioso di Cristo. Soltanto il Padre ne conosce l'ora e il giorno, egli solo decide circa la sua venuta. Per mezzo del suo Figlio Gesù pronunzierà allora la sua parola definitiva su tutta la storia. Conosceremo il senso ultimo di tutta l'opera della creazione e di tutta l'Economia della salvezza, e comprenderemo le mirabili vie attraverso le quali la provvidenza divina avrà condotto ogni cosa verso il suo fine ultimo. Il giudizio finale manifesterà che la giustizia di Dio trionfa su tutte le ingiustizie commesse dalle sue creature e che il suo amore è più forte della morte (cfr. Ct 8, 6).


Il messaggio del giudizio finale chiama alla conversione fin tanto che Dio dona agli uomini «il momento favorevole, il giorno della salvezza» (2 Cor 6,2). Ispira il santo timor di Dio. Impegna per la giustizia del regno di Dio. Annunzia la «beata speranza» (Tt 2,13) del ritorno del Signore il quale «verrà per essere glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto» (2 Ts 1,10) (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1038-1041)

 

Contemplare il mistero del Giudizio Universale (San Josemaria)

“Quando pensi alla morte, nonostante i tuoi peccati, non aver paura... Perché Lui sa già che lo ami..., e di che pasta sei fatto. — Se tu lo cerchi, ti accoglierà come il padre accolse il figliol prodigo: ma devi cercarlo!” (Solco, 880)

 

“Per salvare l'uomo, Signore, tu muori sulla Croce; e, tuttavia, per un solo peccato mortale, condanni l'uomo a un'eternità infelice di tormenti...: quanto ti offende il peccato, e quanto lo debbo odiare!” (Forgia, 1002).

 

6. Alla fine dei tempi Dio ha promesso un cielo nuovo e una terra nuova. Che cosa dobbiamo aspettare?

 

Questo misterioso rinnovamento, che trasformerà l'umanità e il mondo, dalla Sacra Scrittura è definito con l'espressione: «i nuovi cieli e una terra nuova» (2 Pt 3,13; cfr. Ap 21,1). Sarà la realizzazione definitiva del disegno di Dio di «ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10).

Per l'uomo questo compimento sarà la realizzazione definitiva dell'unità del genere umano, voluta da Dio fin dalla creazione e di cui la Chiesa nella storia è «come sacramento» (LG 1). Coloro che saranno uniti a Cristo formeranno la comunità dei redenti, la «Città santa» di Dio. Essa non sarà più ferita dal peccato, dalle impurità, dall'amor proprio, che distruggono o feriscono la comunità terrena degli uomini.


La visione beatifica di Dio sarà sorgente perenne di gaudio, di pace e di reciproca comunione.

 

«Ignoriamo il tempo in cui saranno portate a compimento la terra e l'umanità, e non sappiamo il modo in cui sarà trasformato l'universo. Passa certamente l'aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo, però, dalla Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini» (Gaudium et Spes 39).


«Tuttavia l'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell'umanità nuova che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo. Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l'umana società, tale progresso è di grande importanza» (Gaudium et Spes, 39).

(Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1043-1049)

 

 

Contemplare il mistero (San Josemaria)

“Finché siamo quaggiù, il regno è simile al lievito che una donna prese e mescolò con tre misure di farina, finché tutta la massa ne fu fermentata…

 

“Chi comprende il regno che Cristo propone, sente che vale la pena dare tutto per ottenerlo: è la perla che il mercante acquista vendendo tutto ciò che possiede; è il tesoro trovato nel campo. Il regno dei Cieli è una conquista difficile, e nessuno è sicuro di raggiungerlo; ma la supplica umile di un uomo pentito spalanca le sue porte” (È Gesù che passa, 180)

 

Su questa terra, la contemplazione delle realtà soprannaturali, l'azione della grazia nelle nostre anime, l'amore al prossimo come frutto saporito dell'amore a Dio, comportano già un anticipo del Cielo, un inizio destinato a crescere giorno per giorno. Noi cristiani non conduciamo una doppia vita; manteniamo un'unità di vita coerente, semplice e forte, nella quale si fondono e si compenetrano tutte le nostre azioni. Cristo ci attende. Viviamo già come cittadini del cielo, pur essendo cittadini della terra, tra difficoltà, ingiustizie, incomprensioni, ma anche nella gioia e nella serenità di saperci figli diletti di Dio” (È Gesù che passa, 126)

 

“Il tempo è il nostro tesoro, il «denaro» per comprare l’eternità” (Solco, 882)

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